domenica 28 luglio 2013

Alluvione, inchiesta sugli scempi edilizi

Genova - È l’inizio della fase «strutturale» nell’inchiesta sul disastro del 4 novembre 2011, quando l’esondazione del Fereggiano uccise sei persone, fra le quali due bambine. E dopo la fallimentare gestione dell’emergenza nelle fasi cruciali del nubifragio, che rischia di portare a processo l’ex sindaco Marta Vincenzi, l’ex assessore alla Protezione civile Francesco Scidone e un gruppetto di dirigenti comunali, nel mirino della Procura finiscono la cementificazione selvaggia, la mancata pulizia dei rivi e in generale le carenze nella prevenzione. Il procuratore aggiunto Vincenzo Scolastico ha aperto un nuovo fascicolo con l’ipotesi di «disastro colposo» (al momento contro ignoti) dopo aver ricevuto nelle scorse settimane l’esposto di 14 commercianti della zona. Nel documento, fra gli altri passaggi, si chiede di «valutare responsabilità penali in ordine allo stato in cui versava il rio Fereggiano, sia nel punto in cui è tracimato sia nella parte sovrastante...e la presenza di detriti o impedimenti cagionati dall’uomo, che possano aver ostacolato il deflusso delle acque». Si tratta di mancanze che potrebbero essere facilmente prescritte, poiché alcune risalenti nel tempo? Sì e no. Gli effetti si sono infatti protratti, e in molti casi si protraggono, ad oggi. Perciò un margine per renderli attuali pure sul piano giuridico esiste.

Il punto di partenza è la maxi-consulenza redatta nell’ultimo anno e mezzo dal pool di Alfonso Bellini, geologo e docente, che ha focalizzato gli scempi a catena dai quali l’area del Fereggiano e in generale quella parte di Valbisagno sono stati sfregiati negli anni. In particolare, i consulenti hanno radiografato le situazioni di maggiore criticità per il Fereggiano stesso (a Marassi), per il San Martino, e poi per il Rovare e il Noce che scendono da San Fruttuoso. «Vi sono corsi d’acqua completamente tombinati di cui prima non si conosceva l’esistenza o non si aveva notizia delle condizioni di manutenzione - si conferma in Procura - Dopo l’indagine conoscitiva le autorità competenti (e quindi le amministrazioni, ndr) avranno a disposizione dati precisi per organizzare opportuni interventi».

Nelle scorse settimane era stato il procuratore capo Michele Di Lecce a focalizzare tempi giudiziari “diversificati”: «Finora ci siamo concentrati sui motivi che hanno determinato la morte di sei persone, non le ragioni per cui i torrenti sono usciti dagli argini». Ovvero, non si è tenuto conto, nel formulare contestazioni penali, delle cause «pregresse». Talvolta da cercare nella notte dei tempi e però spesso più recenti di quel che si creda: alcuni permessi e autorizzazioni a costruire in zone incredibili (compreso il letto del torrente-killer) sono state concesse non proprio nel passato remoto, o comunque sono state tollerate fino alla strage.

fonte "Il Secolo XIX" web

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